Canestri rotti, piegati, senza retina. Palloni pessimi. Ma non importa, giocano tutti

Gli indiani giocano a basket. Tanto e bene. E questa per me, amante della palla a spicchi, è una sorpresa clamorosa.

Nella riserva di Pine Ridge ogni casa, ogni baracca, ogni roulotte ha a fianco un
canestro. Per non parlare, naturalmente, dei parchi pubblici e delle scuole.

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Non immaginatevi niente di particolarmente “cool”: qui la gente è povera, molto
povera (e ne parleremo). E i canestri sono quasi tutti rotti, piegati, senza retina. Anche i palloni non sono un granché. Ma tutti giocano.

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La riserva degli indiani è per certi aspetti un po’ come l’Indiana (scusate
l’orribile gioco di parole), ovvero lo stato – molto più ad Est e molto più ricco – dove il basket è una fede. Dove è nato un certo Larry Bird, per intenderci, e dove tutto quello che ruota intorno al canestro diventa una questione fondamentale. Ma quello dell’Indiana è un basket diverso, più “pulito”, più dell’America vista in tv dove il papà insegna a tirare al figlio in cortile. Una pallacanestro più “bianca”.
Per dirla alla Federico Buffa, un basket “che profuma di torta di mele”.

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Qui nella riserva di Pine Ridge l’impressione è, invece, che il basket sia una
questione di profondo orgoglio. Anche cattivo. Gli indiani hanno poco, alcuni non
hanno niente. Ma tutti mi narrano di battaglie vere e proprie tra le squadre delle
high-school locali contro quelle dei bianchi, sia maschili che femminili. Battaglie che, spesso, i Sioux vincono.

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E va di moda anche un certo slang tipicamente cestistico, tipicamente “nero”,
ovvero di solito appartenente ad un’altra minoranza USA che col basket (e con il
concetto di riscatto) ha molto a che fare.
Ed ecco che la riserva, The Reservation, viene chiamata da quasi tutti i giovani
“The Rez”, come probabilmente la chiamerebbe anche un rapper nero di un ghetto di Chicago.
A livello di college, purtroppo, nella Rez tutto questo un po’ si perde. Servono
soldi, più organizzazione: gli altri campus americani sono distanti e floridi.
Per non parlare di basket professionistico: anche i più anziani faticano a
ricordare un Sioux che con la palla a spicchi sia riuscito a sfondare davvero. Sì,
Mike Miller, finalista NBA con Miami lo scorso giugno, è del South Dakota, ma non
viene dalla riserva; e pure la bellissima Becky Hammon ha qualche radice in SD, ma
nelle sue vene corre anche sangue russo.
Spesso, una volta usciti dalle scuole superiori, tanti talenti finiscono nelle gang, che anche qui sono sempre di più. Parleremo anche di questo: le gang, ovvero
un altro modo di provare a combattere la povertà, di mostrare profondo orgoglio.
Cattivo.
Alcuni canestri sulle strade hanno buchi di proiettili. Tanti destini dei Sioux di
oggi passano, per vie diverse, da un pallone e da un canestro.